Il mondo quantico

Immaginiamo un gatto, una fiala di veleno e una fonte radioattiva dentro una scatola chiusa. Se un sensore interno registra radioattività, come il decadimento di un atomo, la fiala viene rotta e rilascia il veleno che uccide il gatto. L’atomo ha uguali probabilità di decadere o non decadere.

È un modo ingegnoso di ottenere un effetto nel mondo tradizionale – cioè il nostro mondo – da un evento del regno quantico.

L’interpretazione di Copenhagen della meccanica quantistica suggerisce una cosa folle: prima che la scatola venga aperta, prima che l’osservazione avvenga, l’atomo esiste in sovrapposizione, uno stato indefinito di decadimento e non decadimento al contempo. Il che significa che il gatto è, a sua volta, sia morto sia vivo.

E solo quando la scatola viene aperta, e l’osservazione ha luogo, la funzione d’onda collassa effettivamente in uno dei due stati.

In altre parole, noi vediamo solo uno dei possibili esiti. Per esempio un gatto morto. E quella diventa la nostra realtà.

A questo punto le cose si fanno veramente strane.

Esiste un altro mondo, reale quanto quello che conosciamo, dove invece abbiamo aperto la scatola e trovato un gatto vivo e allegro?

L’interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica dice di sì. Essa sostiene che quando apriamo la scatola generiamo una diramazione.

Da una parte un universo dove troviamo un gatto morto. E dall’altra uno dove troviamo un gatto vivo. Ed è il nostro atto di osservare il gatto che lo uccide o gli permette di vivere.

E qui la cosa si fa davvero pazzesca. Perché questo genere di osservazione avviene di continuo nel nostro mondo reale.

Quindi se il mondo davvero si divide in due ogni volta che qualcosa viene osservato, questo significa che esiste un numero inimmaginabilmente grande, infinito, di universi – un multiverso – dove tutto ciò che può accadere, accadrà.

E qui entra in gioco la teoria della decoerenza quantistica che affronta il problema della scomparsa, a livello macroscopico, di stati quantici sovrapposti, il gatto vivo e morto allo stesso tempo.

Abbiamo detto che la teoria quantistica tiene conto di questa non osservabilità degli stati quantici sovrapposti stabilendo che qualsiasi atto di osservazione provoca un collasso della funzione d’onda, cioè seleziona istantaneamente uno e un solo stato tra l’insieme dei possibili stati sovrapposti.

L’idea di base della decoerenza è che un sistema quantistico non dovrebbe essere visto come isolato, ma interagente con un ambiente. Sono queste interazioni che causano la rapida scomparsa degli stati sovrapposti, perché la complessità delle interazioni è tale che le diverse possibilità diventano rapidamente incoerenti (da cui il nome della teoria).

Un gatto, noi stessi o altri sistemi, non siamo pensabili come sistemi isolati e non assumeremo mai stati di sovrapposizione tra vivo e morto; è quindi sensato pensare che non dovremmo aspettarci che tali sistemi seguano l’equazione di Schrödinger, applicabile solo ad un sistema chiuso. Nel caso del paradosso del gatto di Schrödinger, la sovrapposizione simultanea degli stati vivo e morto del gatto non ha luogo, perché è distrutta dall’interazione del gatto con il suo ambiente, l’aria che respira per vivere oppure la radiazione termica che emette, essendo un corpo dotato di una certa temperatura.

In altre parole, la sovrapposizione quantistica verrebbe meno man mano che atomi e molecole si strutturano in forme e dimensioni più grandi e, di conseguenza, sono soggetti alla forza di gravità, che noi sperimentiamo sul pianeta dove viviamo, ma che interagisce con il sistema solare e l’universo stesso.

C’è comunque un altro aspetto da affrontare.

Noi percepiamo il nostro ambiente in tre dimensioni, ma in realtà non viviamo in un mondo a tre dimensioni. Le tre dimensioni sono statiche. Come un’istantanea. Dobbiamo aggiungere una quarta dimensione per avvicinarci a descrivere la natura della nostra esistenza.

L’ipercubo quadridimensionale non aggiunge una dimensione spaziale. Ne aggiunge una temporale. Aggiunge il tempo, una sequenza di cubi tridimensionali che rappresenta lo spazio mentre si muove lungo l’asse temporale. Lo si capisce meglio guardando certe stelle, nel cielo notturno, la cui luce ha impiegato cinquanta anni luce per raggiungere il nostro occhio. O cinquecento anni luce. O cinque miliardi. Noi non stiamo semplicemente guardando nello spazio, stiamo guardando indietro nel tempo.

Il nostro percorso in questo spazio-tempo quadridimensionale è la nostra linea di universo (o realtà), che inizia con la nostra nascita e termina con la nostra morte. Quattro coordinate (x, y, z e t [il tempo]) definiscono un punto all’interno dell’ipercubo. E noi crediamo che finisca lì, ma questo sarebbe vero soltanto se qualunque evento fosse il risultato inevitabile dei precedenti, se il libero arbitrio fosse un’illusione, e se la nostra linea di universo fosse solitaria.

Ma cosa succede se la nostra linea di universo è solo una delle infinite linee di universo, alcune solo lievemente diverse dalla vita che conosciamo, altre drasticamente differenti?

L’interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica ipotizza che tutte le possibili realtà esistano. Che qualunque cosa abbia una probabilità di accadere, stia accadendo.

Ogni cosa che potrebbe essere accaduta nel nostro passato è in effetti accaduta, solo in un altro universo.

E se questo fosse vero? E se noi vivessimo in uno spazio probabilistico pentadimensionale?

E se noi di fatto abitassimo il multiverso, ma il nostro cervello limitasse a un solo universo ciò che possiamo percepire?

Una sola linea di universo. Quella che scegliamo, istante dopo istante. Ha senso, se ci pensate. Non riusciremmo a sostenere l’osservazione simultanea di tutte le possibili realtà contemporaneamente. Tutti i possibili stati quantici sovrapposti.

Il punto è che non è possibile accedere a questo spazio probabilistico pentadimensionale.

Non è possibile perché il nostro cervello è programmato in modo da impedirci di percepire il nostro stato quantico. Per superare questa barriera invisibile dovremmo trovare qualcosa che possa disattivare il firewall nel nostro cervello, qualcosa che possa alterare il modo in cui il nostro cervello è costretto a percepire la realtà.

Penrose e Hameroff hanno elaborato la teoria Orchestrated Objective Reduction, ovvero Riduzione Obiettiva Orchestrata, meglio nota come Teoria Orch-Or.

Secondo i due scienziati il fondamento della coscienza risiederebbe nella dinamica della conformazione delle proteine dei microtubuli dei neuroni. A quel livello fisico sarebbero possibili fenomeni di conduttività e di trasmissione dei segnali, con processi sia di tipo classico sia di tipo quantistico, sufficientemente resistenti alla decoerenza quantistica da permettere fenomeni quantistici macroscopici.

Penrose ha proposto l’ipotesi che il funzionamento del cervello non sia guidato da algoritmi logici o formali appartenenti alla fisica classica, bensì da processi quantistici legati al collasso della funzione d’onda. Al contempo ha proposto la nuova definizione di “riduzione obiettiva” per indicare come il momento del collasso dipenda da fattori concreti legati al rapporto fra la massa e l’energia degli oggetti coinvolti nel processo.

In altre parole, il nostro cervello è un sistema quantico e i due scienziati ritengono che i microtubuli presenti nel cervello si trovano tra loro in un perfetto stato di correlazione quantistica. Essi concordano nel ritenere che il “momento conscio” corrisponde “al collasso della funzione d’onda che raccoglie in sé, in un unico stato quantistico, il complesso entanglement globale che unisce i microtubuli del cervello”.

Ripeto: noi viviamo in uno stato di decoerenza, noi viviamo una sola realtà, perché osserviamo costantemente il nostro ambiente e facciamo collassare la nostra funzione d’onda. Se potessimo trovare qualcosa che ci impedisse di continuare a mettere il nostro ambiente in decoerenza, allora potremmo vedere tutti i possibili stati quantici sovrapposti, tutte le possibili diramazioni della nostra vita.

Questo in teoria, ma nella realtà cosa potremmo davvero percepire?

Il nostro cervello non può comprendere la sovrapposizione, dovrebbe ricorrere ad una sorta di visione tridimensionale accettabile, un corridoio infinito dove lo spazio presenta una qualità ricorsiva, come due specchi uno di fronte all’altro. Un lungo tunnel ripetuto attraverso tutte le possibili realtà che condividono lo stesso punto nello spazio e nel tempo.

In alcune rappresentazioni di meccanica quantistica, ciò che contiene tutte le informazioni per il sistema – prima che esso collassi a causa di un’osservazione – è detto funzione d’onda. Un tunnel potrebbe rappresentare il modo in cui la nostra mente visualizza il contenuto della funzione d’onda, ossia tutti i possibili esiti del nostro stato di sovrapposizione quantistica.

E dove ci porterebbe questo tunnel? Dove ci ritroveremmo alla fine?

Al momento non esiste una risposta perché non esiste fine nel mondo quantico.