Il complotto per uccidere JFK

Nulla è più contrario alla riuscita di un complotto che il volerlo organizzare su basi troppo sicure. La sicurezza richiede più uomini, più tempo, più circostanze favorevoli, e tutto ciò aumenta le possibilità che il complotto venga scoperto.

JFK and RFK

Ancora il caso Kennedy?

Innanzitutto, il mondo conosce solo una verità ufficiale. In Italia, poi, non conosciamo questo misteriosissimo libro, The Plot, pubblicato per la prima volta nel 1968 nel tentativo di diffondere tra più gente possibile la controinchiesta segreta della famiglia Kennedy sulla morte del presidente, un immenso lavoro di ricostruzione che infrange in modo dirompente tutte le certezze della pallida ricostruzione ufficiale dei fatti.

Proprio così: la famiglia più potente d’America non credeva alla verità ufficiale sull’attentato di Dallas, quella sancita dalla commissione Warren. Anche se ancora oggi milioni di persone nel mondo pensano che Lee Oswald sia stato l’unico responsabile di quanto è accaduto in Texas il 22 novembre del 1963, proprio come stabilì il verdetto di quell’organismo, Robert Kennedy non aveva mai creduto che un pazzo avesse pensato e attuato l’assassinio di suo fratello. Il portavoce, Frank Mankiewicz, rivelò che Bob Kennedy contava molto sull’inchiesta del procuratore di New Orleans, Jim Garrison, noto al grande pubblico grazie al film-cult di Oliver Stone, JFK, l’unico che cercò di portare in un tribunale la verità indicibile su quella morte.

Troppe cose già quel mattino di novembre dicevano che i protagonisti occulti dell’operazione dovevano essere in numero elevato, interpretati da un fantomatico gruppo di destra che aveva fatto apparire sul Morning News, un giornale locale, una pubblicità a pagamento listata a lutto con la scritta: “Benvenuto a Dallas, Mr Kennedy”.

Per lunghi anni la verità ufficiale rimase quella della commissione Warren, poi, casualmente, il 9 agosto del 2011, i giornali di tutto il mondo scrissero che Jackie Kennedy era convinta che proprio Johnson avesse architettato l’assassinio del marito – esattamente quello che sostiene questo misterioso libro, che individua un composito ‘Comitato’ dietro tutta l’operazione. La first lady lo raccontò nel marzo del 1964, quattro mesi dopo l’attentato di Dallas, all’amico e principale consigliere del presidente, lo storico Arthur Schlesinger. Le loro conversazioni, ben quattro ore di dialogo a tutto campo, furono registrate e poi conservate nella cassaforte della John F. Kennedy Presidential Library di Boston. Sono state rese note, pare, solo in seguito a un semplice scambio di convenienza: Caroline, la figlia di Jackie e John, comunque rompendo il silenzio, ha deciso di pubblicare quei nastri in cambio della soppressione della miniserie The Kennedys, molto contestata dal clan Kennedy, da parte della rete Abc.

Nel 2003 anche l’avvocato di Lyndon Johnson, Barr McLellan, che ha curato a lungo gli interessi della potente famiglia texana, si disse convinto che il suo cliente avesse avuto un ruolo di primo piano nella cospirazione contro JFK: fece sapere che stava scrivendo un libro scottante sull’argomento che si annunciava come un best seller. McLellan mantenne la promessa e presentò un ritratto inquietante di Johnson, uomo ricattabile, “senza pietà e violento”, il cui unico scopo era il potere.

Sulla morte di John Kennedy la verità raccontata da The Plot, pubblicato nel 1968 con il titolo Farewell America e in francese come L’Amérique brûle (da cui il titolo dell’edizione italiana dello stesso anno, L’America brucia), è completamente opposta a quella della commissione Warren, accettata però da tutti i governi degli Stati Uniti e imposta al mondo.

Secondo il suo autore, un certo James Hepburn, Kennedy fu fatto fuori da un ‘Comitato’ costituito da esponenti dei grandi monopoli industriali, essenzialmente miliardari petroliferi texani che controllavano polizie, quadri militari, servizi segreti; niente di nuovo, se non fosse che Hepburn nel 1968, alla vigilia dell’assassinio di Robert Kennedy, fa nomi e cognomi. Indica in Haroldson Lafayette Hunt e Edwin Walker (il “petroliere più ricco del mondo e il generale più fascista degli Stati Uniti”) i massimi dirigenti del Comitato che ha pensato e portato a termine l’operazione dell’uccisione di JFK e rivela pure che Edgar Hoover, capo dell’Fbi – e anche di una struttura parallela costituita da killer professionisti e addetta ai lavori sporchi, ad esempio far sparire i testimoni scomodi dell’assassinio di Dallas, secondo il racconto di un ex agente alle sue dipendenze, Michael Milan – era al corrente del complotto, così come lo stesso vicepresidente, Lyndon Johnson. Quasi tutti i membri attivi del Comitato provenivano dal Texas o dalla Louisiana: alcune compagnie che figuravano nei libri paga del Pentagono, la General Dynamics, la Lockheed, la Boeing, la General Electric e la Nord Aviation, non gradivano il controllo civile sulla Difesa inaugurato da Kennedy insieme al suo ministro Robert McNamara, e proprio nei loro uffici maturò, insieme a quelli che Hepburn chiama i ‘guerrieri’, cioè i vertici militari, l’idea di cambiare drasticamente registro. Inoltre le tre principali organizzazioni paramilitari, la John Birch Society, i Minutemen e il Ku Klux Klan, di cui Walker allevava i capi, e che vedevano in JFK un braccio dell’Unione Sovietica che si stava impossessando degli Usa, non gradivano il suo tentativo di scongelare la guerra fredda con la diplomazia.

I particolari forniti dall’autore sono impressionanti per la coerenza del quadro politico e gli interessi in gioco. L’inchiesta più misteriosa sull’omicidio di JFK, come si può leggere nel libro, mette anche il naso nel mondo dei petrolieri, spiegando che l’era Kennedy avrebbe dato un taglio allo scandaloso sistema di detrazioni fiscali per il petrolio: nel 1962 il Kennedy Act eliminò per le società americane che operavano all’estero la distinzione tra i profitti rimpatriati e quelli reinvestiti fuori dal territorio nazionale. Un altro provvedimento, annunciato al congresso il 24 gennaio 1963, colpiva tutte le società che si erano arricchite su assurdi benefici, come spiega dettagliatamente l’inchiesta. Secondo Hepburn, John Kennedy iniziò allora il suo ultimo anno di vita. Haroldson Lafayette Hunt, l’uomo del Texas, il più grande propagandista americano d’estrema destra, definì un ‘delitto’ quella politica: finanziò la campagna estremista e militarista organizzata in combutta con Walker. Il Comitato si avvalse dell’organizzazione della John Birch Society, dei Minutemen e del Ku Klux Klan.

Coloro che organizzarono l’imboscata di Dallas, esperti di guerriglia, “si stupirono di scoprire che il servizio segreto di Kennedy lavorava come un gruppo di boyscout”. Il suo capo, Jerry Behn, era così poco preoccupato della visita in Texas che al momento dell’assassinio stava pranzando in un ristorante di Washington. Il suo vice, Roy Kellerman, si dimostrò così incompetente che al Parkland Hospital i suoi uomini cominciarono a prendere ordini dall’agente Emory Roberts. L’autista della Lincoln presidenziale, Bill Green, cinquantaquattro anni di cui trentacinque di servizio, sarebbe stato in gran parte responsabile della riuscita dell’attentato, visto che non mutò affatto la velocità dell’auto dopo il primo sparo. In Farewell America si può leggere una quantità enorme di notizie di straordinario interesse che formano una cornice precisissima degli ambienti e dei personaggi che favorirono, organizzarono e realizzarono il golpe Kennedy.

Il libro contiene anche un’appendice che indica le vastissime fonti documentali usate, “europee e americane”: ufficialmente si tratta di moltissimi documenti prodotti dalla commissione Warren, articoli di giornale e materiali di archivio, ma non basta. Una nota dell’editore ci informa che l’autore è venuto in possesso di due copie del filmato di Abraham Zapruder, una pellicola a colori da 8 millimetri che, unica al mondo, riprende la scena dell’omicidio. Il fatto davvero sorprendente è che si tratta delle copie integrali e inedite dalle quali è possibile ricostruire l’urto dei proiettili, compreso quello sparato a distanza ravvicinata da qualcuno che si trovava di fronte all’automobile, e l’esatta posizione di ogni sparatore. Nel 1968, quando Farewell America fu pubblicato, era nota soltanto la versione tagliata e contraffatta della pellicola, acquistata dalla rivista Life che mise in circolazione le parti autorizzate. Solo nel 1969 quelle immagini furono fatte conoscere al mondo per la prima volta: erano state acquisite nel processo voluto da Garrison come prova determinante che l’assassinio di JFK non era stato realizzato dal solo Lee Oswald, appostato nel Texas School Book Depository, l’edificio che si trovava alle spalle della macchina presidenziale nel momento in cui Kennedy fu colpito.

Perfino la commissione Warren aveva una copia contraffatta: in quella che gli era stata fornita dall’Fbi, infatti, due fotogrammi decisivi erano stati misteriosamente invertiti per suscitare la falsa impressione che il colpo arrivato alla testa del presidente fosse stato sparato da dietro e “per cinque anni il film dell’assassinio ripreso dal testimone oculare Abraham Zapruder venne nascosto al pubblico e tenuto rinchiuso in una cassaforte del settimanale Life. Le sequenze di questo film mostravano Kennedy scaraventato violentemente all’indietro, prova evidente del fatto che veniva colpito da uno sparo di fucile frontale”.

Per quanto riguarda l’uomo accusato di aver sparato, Lee Harvey Oswald, secondo Hepburn, non fu che una ‘comparsa’: non sfuggono all’autore tutti i particolari della vita di questo ‘buon soldato’ al servizio della Cia, prima come agente in missione a Mosca, poi come infiltrato nei gruppi di sinistra, poi come prescelto per l’operazione di Dallas, città dove arrivò il 2 ottobre 1963, proprio lo stesso giorno in cui il governatore dello Stato, Connally, tenne una riunione all’hotel Adolphus per discutere i particolari della prossima visita del presidente, appuntamento al quale in molti si stavano preparando. Racconta Farewell America che probabilmente a Oswald “fu detto che era stato selezionato per partecipare a una nuova azione anticomunista insieme a Ferrie (David Ferrie, uomo della Cia, legato a Clay Shaw, il principale accusato dal giudice Garrison) e a parecchi altri agenti”. Forse Lee Oswald neanche sapeva che Kennedy quel giorno doveva morire.

L’enorme mole di notizie contenute nel libro-inchiesta, suggerisce chiaramente che l’autore, Hepburn, o come altro si chiami, è stato al centro di un network di informazione costituito da diverse fonti: il team ha fatto emergere l’affresco di un paese sottomesso agli interessi della finanza, degli apparati di intelligence e dei cartelli internazionali del petrolio. Dal capo della Cia, Allen Dulles, al petroliere numero uno, H.L. Hunt, da Roy Cohn agli apparati militari e i boss mafiosi, un amalgama di poteri forti, pubblici e privati, hanno ucciso Kennedy: nel libro questo agglomerato è indicato con il nome di ‘Comitato’ che sponsorizza e porta avanti l’assassinio di JFK reclutando esuli cubani amareggiati dal fallimento dell’invasione dell’isola.

La storia di come e perché nacque The Plot ha tutta l’aria di essere solo la trama di un libro di John le Carré ma non è affatto così. Oltre al contenuto, la stessa genesi di The Plot, la controinchiesta segreta sull’assassinio di JFK, è davvero affascinante, anche se in definitiva è il simbolo di una sconfitta epocale.

Tutto cominciò quando la famiglia Kennedy, dopo l’assassinio di John, chiese aiuto all’amico fidato Daniel Moynihan – poi senatore di New York, interpretato nel film-cult di Oliver Stone, JFK, da Walter Matthau – nel tentativo di svelare le trame che portarono alla morte del presidente. Non si fidavano di nessuno, né dell’Fbi né della Cia: “Pochi giorni dopo l’assassinio, le radiografie, i fotocolor e i negativi in bianco e nero eseguiti durante l’autopsia al Bethesda Naval Hospital vengono consegnati al fratello del presidente, Robert, allora ministro della Giustizia. Quando il nuovo presidente Johnson lo ‘scarica’ dal governo, Robert porta con sé questi preziosi documenti e li affida al segreto di una cassaforte. Li custodisce così gelosamente che non consente neanche agli inquirenti della commissione Warren di prenderne visione”. Cosa intendeva farne? Aveva un suo progetto?

Qualche giorno dopo l’attentato, effettivamente, “Robert Kennedy chiamò Moynihan nel suo studio e gli chiese di esplorare due piste: se dietro tutta la storia c’era il nemico mortale Jimmy Hoffa e se questi avesse comprato i servizi segreti. Ma dopo qualche tempo, Moynihan fece avere a Bob un rapporto nel quale affermava che non aveva potuto trovare nessuna prova del coinvolgimento di Hoffa e di una responsabilità dei servizi”.

Il lavoro dell’amico Moynihan non aveva avuto successo: l’affaire era troppo grande per una persona sola o per un gruppo di amici. Ma i Kennedy non cambiarono idea: già a Dallas, qualche ora dopo l’assassinio, Robert fu informato che a sparare erano stati tre o quattro uomini. Volle però aspettare la fine dell’inchiesta ufficiale per cercare la sua verità: quando la commissione Warren informò il mondo intero che JFK era morto per mano di un pazzo, Bob Kennedy decise di affrontare l’inchiesta con mezzi indipendenti. Non gli mancavano le conoscenze ma soprattutto si realizzò una particolare convergenza di interessi con la Francia del generale De Gaulle: “Tramite alcuni amici personali di Kennedy il rapporto di Moynihan finì nelle mani dell’intelligence francese” che cominciò a fare le proprie indagini: qualche anno dopo, come è noto, cominciò a indagare in modo serio e determinato anche Jim Garrison, il procuratore distrettuale di New Orleans.

Garrison nel febbraio del 1967 chiamò nel suo staff, William Turner, l’ex agente dell’Fbi, poi giornalista investigativo e attivissimo redattore di Ramparts, che divenne una delle colonne dell’inchiesta, come ha scritto anche il regista Oliver Stone, e gli chiese di sondare qualche amico tra i servizi segreti sovietici per cercare conferme e nuovi elementi alla sua inchiesta: i sovietici dovevano avere qualche interesse a farlo, visto che erano stati chiamati in ballo spesso e molto a sproposito nel caso. Il filo dei contatti portò, comunque, di nuovo a Parigi, proprio dove era arrivato anche il rapporto dell’amico dei Kennedy, Moynihan. E proprio dalla capitale francese, nell’aprile del 1968, partì una telefonata che invitava Jim Garrison a mandare qualcuno dei suoi uomini per ritirare un pacco importante: era l’inchiesta sulla morte di JFK, aveva la forma di un comune libro, dal titolo The Plot.

Dentro quelle pagine Garrison avrebbe trovato il frutto del lavoro di intelligence coordinato da André Ducret, il capo dei servizi segreti francesi – il quale non dissimulò al suo interlocutore il personale sostegno del generale De Gaulle all’inchiesta – e da un’altra spia ‘eccellente’: Philippe Vosjoly, l’ex capo dell’intelligence francese negli Stati Uniti, figura controversa, che “aveva infiltrato la Cia, l’industria del petrolio in Texas, e i gruppi anticastristi nel Sud della Florida”.

Perché i francesi si erano lasciati coinvolgere nell’inchiesta sulla morte di JKF? Innanzitutto, è bene ricordare che il presidente De Gaulle aveva espresso subito la sua opinione sul caso: già nel 1967 un giornalista che gli era molto vicino, Jean-Raymond Tournoux, nel libro La tragédie du Général scrisse che “De Gaulle riteneva che la polizia americana avesse sostenuto un ruolo primario nell’assassinio […]. De Gaulle era sicuro che la polizia di Dallas in un primo momento intendesse uccidere essa stessa Lee Oswald per aprire così una caccia alle streghe contro i comunisti. Ma le cose non andarono secondo i piani perché la presenza di testimoni impedì di ammazzare Oswald al cinema. Furono costretti ad avviare un procedimento legale ma un processo – secondo De Gaulle – era impensabile perché tutti avrebbero parlato […]. Tournoux spiega che De Gaulle considerava l’assassinio di Kennedy come un western, che poteva attizzare una nuova guerra di successione”.

Forse l’opinione del generale aveva radici profonde: i francesi erano ben preoccupati dell’avvento negli Stati Uniti di un gruppo politico-militare che aveva avuto in passato stretti contatti con i terroristi dell’Oas, l’Organisation armée secrète, la stessa che aveva tentato più volte di ammazzare De Gaulle. Non si trattava di un generico timore: vi erano già allora fondati sospetti che uomini dell’Oas avessero preso parte all’assassinio di JFK. Molto probabilmente, per evitare di lasciare ‘tracce’ e una chiara firma, l’inchiesta resa pubblica con The Plot non affronta l’argomento ma la questione non sfuggì al procuratore Garrison, il cui lavoro beneficiò del misterioso libro.

Garrison scrive che l’agente Cia con cui Lee Oswald è in contatto a Dallas, George de Mohrenschildt, “era membro del riservatissimo Dallas Petroleum Club, godeva di buoni rapporti nel mondo degli affari e in questo ristretto gruppo di amici il più interessante era Jean De Menil, presidente della mastodontica Schlumberger Corporation, operante su scala internazionale e in stretti contatti anche con la Cia: sia la Cia sia la Schlumberger avevano interessi nell’Oas”. E in un altro passaggio più esplicitamente Garrison racconta: “La Schlumberger Corporation aveva appoggiato il movimento controrivoluzionario francese dell’Organisation armée secrète, che aveva tentato di assassinare il presidente Charles De Gaulle numerose volte alla fine degli anni Cinquanta e all’inizio degli anni Sessanta per il ruolo da lui svolto nell’indipendenza dell’Algeria”. Il tipo di sostegno offerto dalla compagnia riguardava soprattutto le armi.

Solo recentemente è saltato fuori un documento sconcertante che trasforma i sospetti in certezze: effettivamente a Dallas il 23 novembre 1963 c’era anche Jean Souetre, conosciuto pure come Michel Roux e Michel Mertz, e anche come tante altre persone, esponente di spicco dell’Oas. Un documento Cia del primo aprile 1964, desecretato solo nel 1977 e intitolato “Espulsione di Jean Souetre dagli Usa”, conferma che il terrorista era a Dallas e che fu espulso diciotto ore dopo l’assassinio del presidente. “Egli era a Fort Worth il mattino del 22 novembre [1963] e a Dallas nel pomeriggio. I francesi credono che sia stato espulso in Messico o in Canada”, si legge nel testo. I francesi seppero subito questa notizia e cercarono di avere informazione dall’Fbi di New York, perché De Gaulle aveva pianificato una visita in Messico (aprile 1964) e volevano conoscere “la ragione della sua espulsione dagli Usa e la sua destinazione”. Non sappiamo come andò a finire ma c’è da credere che le notizie sul terrorista Souetre rimasero strettamente riservate.

La controinchiesta impiegò uomini infiltrati nell’industria petrolifera del Texas, nella Cia e nei gruppi mercenari anticastristi della Florida.

Il loro rapporto si concluse pochi mesi prima dell’uccisione di Bob Kennedy, che aveva superato ottimamente il banco di prova della California, dove era risultato il candidato vincente. Dopo quella morte fu chiesto all’ultimo dei fratelli, Edward, che cosa la famiglia intendesse fare di quell’inchiesta, che diceva tutto senza avere prove giudiziali sufficienti per un tribunale: egli rispose che nessuno di loro intendeva usarla pubblicamente.

I Kennedy sono sempre stati reticenti sugli assassini dei due esponenti della famiglia: a riguardo ha detto cose interessanti Gianni Bisiach, l’unico giornalista italiano che seguì il processo Garrison. Bisiach, che ebbe modo di fare domande dirette alla famiglia, dice che a suo parere hanno sempre avuto “paura di essere uccisi. Anche Ted Kennedy ha subito tre attentati: dopo la morte del presidente è caduto con l’aereo, poi una donna armata di un coltello è stata fermata all’ultimo momento, poi lui venne portato a Chappaquiddick, non si sa bene come. Io ho dei sospetti su quegli amici che lo portarono lì, che drogarono le ragazze, che lo fecero ubriacare, una vittima di qualcosa che non fu molto chiaro. […] Anche John John [il figlio di JFK e Jackie, precipitato con il suo aereo il 16 luglio 1999] in qualche modo voleva arrivare alla Casa Bianca. Quando gli venne chiesto da un intervistatore perché la rivista George [che dirigeva] non affrontava la morte di suo padre a Dallas, John John rispose che era inutile affrontare un’altra inchiesta sulla morte di suo padre. Avrebbe potuto anche dedicarvi quaranta numeri di George, ma non avrebbe portato a niente. […] ‘Per poter fare questo tipo di inchieste’, diceva, ‘bisogna avere il potere’. Il potere significava la Casa Bianca. Lui voleva arrivare alla Casa Bianca, lo ha detto anche Salinger [capo ufficio stampa di Kennedy] in una dichiarazione ufficiale, così come Schlesinger il giorno dopo la sua morte. John John non ci voleva arrivare [subito], ma piuttosto verso il 2008. Penso che la sua morte abbia fatto piacere a molti, l’aereo è caduto nel punto in cui, tre anni prima, è precipitato l’aereo della Twa. E si dice che l’aereo della Twa come l’aereo di Ustica sia caduto perché per errore gli hanno sparato contro dei missili militari. Proprio lì c’è una base militare che spara dei missili. Tutto questo l’ha detto anche Salinger; ci sono centinaia di persone che hanno visto questo missile che partiva dal basso e che ha colpito il Twa. Per quanto riguarda John John, è prevalente l’ipotesi della disgrazia, dell’incidente, visto che è stato molto imprudente a partire con quelle condizioni atmosferiche. È più difficile immaginare un complotto…”.

Di fronte alla chiusura della famiglia Kennedy, prese forma l’idea di una pubblicazione ‘anonima’ dell’inchiesta pensata e realizzata per ben altro scopo.

Steve Jaffe, il collaboratore di Garrison inviato a Parigi, potè finalmente incontrare ‘Michel’, l’uomo che rappresentava la Frontiers Publishing Company, una casa editrice inventata per poter dare l’apparenza di un libro a un dossier scottante. Ma subito dopo la Frontiers scomparve dagli elenchi telefonici, non prima di aver stampato numerose copie di Farewell America, inviate nelle librerie della Germania – la Bild scrisse che il libro era “esplosivo come una bomba” – del Belgio, del Canada e del Liechtenstein. L’Fbi si attivò per comprare quasi tutte le copie stampate in Canada, per evitare contaminazioni. In Italia ebbe cattiva sorte, uscì senza alcun tipo di pubblicità, fu notato da pochi osservatori e scomparve quasi immediatamente.

Per quanto riguarda il nome dell’autore, James Hepburn, era uno pseudonimo: lo inventò ‘Michel’, il quale amava perdutamente nella sua immaginazione l’attrice Audrey Hepburn a cui volle rivolgere un omaggio: James sta per J’aime, il cognome è quello della diva del cinema.

Una conclusione perfetta per un film anche se la scena reale è ben diversa: Bob Kennedy, candidato vincente alle presidenziali del novembre 1968, aveva sperato con tutte le sue forze di varcare la soglia della Casa Bianca portando sotto il braccio la cartella con la sua inchiesta, quella che avrebbe svelato la trama del complotto contro il fratello John. La fine è nota: “Non riuscirà a essere eletto: lo faranno fuori prima”, come dice Kevin Costner-Jim Garrison nel film di Oliver Stone.

The Plot

L’uccisione del presidente Kennedy fu opera di maghi. Fu un artificio scenico, completo di accessori e di falsi specchi. E quando il sipario cadde sugli attori, anche lo scenario scomparve. Ma i maghi non erano degli illusionisti, bensì dei professionisti e, nel loro genere, degli artisti. Molti documenti sull’uccisione di Kennedy restano sconosciuti. Le raccolte più accurate e complete sono quelle della Cia e dell’Fbi, ma al popolo americano è negato il diritto di consultare questi documenti come è negato il diritto di esaminare gli schedari depositati negli archivi nazionali.

La signora Marjorie Field, che abita in California, è riuscita a ricostruire il ‘vero’ rapporto Warren mettendo in ordine logico i ventisei volumi di testimonianze, le deposizioni, il susseguirsi degli avvenimenti. Anche questa implacabile dimostrazione, intitolata “La prova”, è stata tenuta segreta al mondo intero. Perché nessun editore ha mai accettato di pubblicarla?

Perchè la United Press International non ha mai permesso che esperti internazionali potessero esaminare la fotografia, completa e non ritoccata, scattata dalla signora Mormon, abitante a Dallas, e della quale detiene i diritti? Le relazioni fatte dai due migliori laboratori d’Europa non lasciano dubbi sulla sua autenticità. Essa mostra il presidente Kennedy, visto di spalle, nell’istante in cui fu colpito dal proiettile fatale; ma mostra anche, sullo sfondo, due degli sparatori. Il primo sparatore impugna ancora il fucile. Il secondo ha appena premuto il grilletto e lo si distingue chiaramente dietro la canna del fucile.

Perchè la polizia di Dallas non ha mai rivelato l’identità e gli indirizzi di due degli uomini arrestati immediatamente dopo il delitto? Esiste una fotografia che mostra questo ‘arresto’ e altre immagini che mostrano i probabili complici degli assassini, in particolare un uomo che portava con sé una radio ricevente-trasmittente e stava fermo all’angolo di Houston e Elm Street.

Perchè l’Fbi non ha mai pubblicato il suo rapporto del 13 giugno 1968 sull’uccisione di Robert Kennedy e non ha mai permesso che esperti imparziali esaminassero i risultati dell’autopsia e i resoconti balistici riguardanti la sua morte?

Sfidiamo il governo degli Stati Uniti a nominare una nuova commissione d’inchiesta, i cui membri siano scelti direttamente dal popolo, affinché la verità possa essere resa nota a tutti e i veri assassini di John Fitzgerald Kennedy siano finalmente portati in giudizio.