Come un canto di speranza

Credo che ciò che chiamiamo realtà sia una sorta di sogno solido, coerente, continuo, passeggero e fragile, legato allo spazio e al tempo. Come la scena di un teatro di cui siamo gli attori, in cui entriamo nascendo e da cui usciamo morendo. Credo che il tempo, mischiato allo spazio, sia una bolla di cui siamo prigionieri. Una parentesi nell’eternità.

Credo che la morte sia lo scopo e il culmine di una vita di cui essa segna il ritorno all’eternità primitiva. Credo che la morte sia una vittoria travestita da disfatta e la soglia da varcare per entrare in una giustizia e in una verità di cui quaggiù inseguiamo soltanto le ombre.

Finché vivrò, mamma, mi ricorderò di te. Ma quando saranno scomparsi tutti coloro che abbiamo conosciuto, chi si ricorderà di noi?

Nessuno? Impossibile. Nel tempo, tutto si cancella, tutto si dimentica, tutto scompare. Ma il passato non è mai morto, non è nemmeno passato perché la luce lo raccoglie e lo trasporta. A distanze infinite, è un passato infinito quello che ci viene restituito ancora vivo. Il futuro, per Omero, era sulle ginocchia di Dio. Nell’eternità niente di ciò che è stato potrà mai più essere. Credo che eterno e infinito Dio sia, tra l’altro, come la memoria di questo mondo che ha fatto uscire, nel tempo di un lampo, da ciò che, a torto, chiamiamo il niente. Quando gli uomini saranno scomparsi, Dio sarà il solo a potersi ricordare ancora di loro. E di noi.

Ciò che volevo dirti, mamma, fin dall’inizio di queste righe che sono scritte per te, è che un giorno saremo insieme, uniti per sempre l’una all’altro, fuori da questo tempo mortale, nel ricordo e nella luce di Dio.

La chiave dell’amore

Guardati in giro e immagina quello che non vedi.
Chiudi gli occhi, è così chiaro
qui c’è lo specchio, e dietro uno schermo
da entrambe le parti puoi entrare…
Non pensarci due volte prima di ascoltare il tuo cuore
segui la strada per un nuovo inizio
ne hai bisogno e ricorda…
basta che funzioni.
Nell’occhio della tempesta vedrai una colomba solitaria,
perché riuscire a sopravvivere è la chiave
per trovare il vero amore.
Il sentiero dell’eccesso porta alla torre della saggezza.
ci hai mai pensato?
Questa è l’occasione per vivere la tua vita e scoprire
qual è la solennità dell’amore.
Guardati intorno, senti la voce delle persone?
Trova chi ti guiderà fino ai limiti della tua scelta
e se ti senti nell’occhio del ciclone
pensa alla colomba solitaria
Riuscire a sopravvivere è la chiave
per il vero amore…

Lussuria

Voglio strappare il velo dietro il quale ti nascondi fino a quando non ci sarà più un posto dove scappare. Non c’è santuario o rifugio da trovare questa sera tra le mie braccia… il mio letto… il mio cuore. Non posso giocare all’amante gentile stanotte. La tua bellezza, di solito un balsamo per lo spirito che ruggisce dentro di me, non tocca nulla di tenero, solo lussuria. Posso sentire tutto ciò che è mortale e imperfetto in te… sussurra in ogni poro della tua pelle e ti avvolge denso e dolce come il peccato.

Non voglio stasera che ti arrenda facilmente. Le mie dita desiderano qualcosa di più delle carezze gentili; le mie labbra bramano troppo per accontentarsi di languidi baci. Non voglio parole dolci o sogni a metà. Il mio bisogno è primitivo. Ti voglio nuda, il calore che ti scuote come un treno che deraglia su di me e fa esplodere la notte. Voglio che la mia lingua ti sferzi al letto e che le mie mani ti imprigionino ai miei desideri egoistici. Voglio frantumare il proibito…

Voglio spogliarti di tutto per non lasciare un briciolo di decenza o di vergogna tra noi. Voglio strappare il tuo orgoglio infernale e assaporarlo, amaro e dolce sulle mie labbra… per farlo rotolare contro la mia lingua mentre scivola sulla tua. Voglio bere tutto ciò che è oscuro e velenoso dentro di te. Fammelo mangiare… lascia che la tua bocca diventi il mio carnefice.

Voglio spezzare la tua volontà e piegarla alla mia… sentirti scattare mentre il tuo corpo si solleva teso contro il mio. Voglio sentire la tua pelle, calda e bagnata, tremare al mio tocco. Voglio sentirti mugolare il mio nome come un sogno d’infanzia ricordato a metà, implorarmi di fermarmi, e poi sentire le tue mani e la tua bocca implorarmi di non farlo. Voglio che tu ti apra a me… per sentire quel duro brivido lacerarti mentre si riverbera contro le tue ossa. Voglio sentire il tuo cuore contro il mio nel buio, ogni battito caldo corrisponde al movimento dei miei fianchi mentre premono contro il tuo corpo. Voglio entrare dentro la tua pelle… scrostare la carne ed esporre ogni nervo e giocarci fino a che non sia stretto e lacerato. Voglio fare a pezzi tutto ciò che ti è caro e sacro, e profanarlo con baci empi e sangue empio.

E poi, quando finalmente ti avrò preso, resterai abbandonata a tremare al mio fianco, il nostro stesso respiro che arriva come uno solo, denso e ruvido… il mio pollice premuto con forza contro la tua gola, trova le parole per esprimere il mio senso oscuro. Rompile contro il mio cuore e lascia che si spargano… come un’offerta oscura e silenziosa.

Tu sei troppo dentro di me ora…
Non ti lascerei andare nemmeno se potessi…

Le regole del gioco

Non ho mai imparato le regole del gioco.
Ogni volta resto tramortito, attonito di fronte al ripetersi degli eventi.
E mi sconvolge quanto tutto sia sempre privo della sostanza che mi sembrava di scorgere.
Sempre meno di quanto sembrava.

E’ il mio modo di sopravvivere. Finisco sempre col sorriso.
Un sorriso ogni giorno più ampio per coprire un dubbio crescente.
Nessuno conosce nessuno?
Siamo tutti così lontani, separati e inconciliabili?

Mi allontano in punta di piedi, sperando di non far rumore,
per non svegliare la mia anima.

Ma poi basta una frase, un’immagine, un pensiero…
una cosa da niente che stordisce
e fa tremare le pareti
e mi accorgo per un momento di avere gli occhi umidi di pianto.

Ma passa in fretta.
Anche il miglior frastuono diventerà un sussurro
se lo lascio abbastanza lontano.

Profumo di donna

Riconoscevo il tuo profumo
molto prima che tu entrassi nella mia stanza.
Si arricciava dolcemente intorno alla porta d’ingresso
gelsomino, vaniglia e chiaro di luna,
un morbido fremito contro il legno e il vetro.
Seguiva il basso mormorare del tappeto di seta
sui pavimenti di cipresso
e su per le fresche scale di marmo,
avvolgendo ogni filo e fibra
nei caldi peccati dell’estate.
Si è seduto infine sulle mie labbra
indugiando nel dolce e fragrante sapore
della tua pelle contro la mia.

Dove sei, Abri?

Posso dirti che ti amo?
Un pò, solo un pò…
in ogni caso poi ritratto.
E’ ovvio che non è così… si fa per dire
per far poesia, passare il tempo… dire qualcosa.

Posso lasciarti?
Non a lungo, si capisce
ciò che mi interessa è il momento.
Un test, il tempo di un discorso
poi rimetto tutto a posto.

Posso cancellare gli ultimi mesi?
Mi serve un minuto, una sbirciatina.
Che ora non mi viene
di ricordare com’era… com’ero…

Posso morire un attimo?
Non di più, torno subito…
che d’esser morto non mi va.
Solo il tempo di un riavvio…


Abri, se stai leggendo queste righe, non ti sto chiedendo di ricominciare, probabilmente ho fatto il mio tempo, o forse è solo la tua vita che è cambiata, così come la mia…
ma va bene così, come vanno bene anche quattro parole e un punto esclamativo…
perché, se hai voglia di scrivere a uno dei tuoi fantasmi… qualche volta… per dire qualcosa o per non dire niente…

sappi che ci sono ancora…