Abrielle, perché non ci siamo mai rincorsi nei caffè del centro o nelle stazioni della metropolitana?
Sai, è un gran peccato che la vita non sia un film e che si debba rimanere due sconosciuti in attesa di un “deus ex machina” che non verrà.
Perché è passato il tempo delle corse nelle stazioni, per non parlare di quello degli dei.
E’ passato persino il tempo delle parole, Massimiliano, ormai si ragiona solo in caratteri.
E io non so più scrivere. Ho dimenticato come si fa, in più di una lingua.
Dev’essere passato anche il tempo in cui ti piacevo.
No. Tu hai bisogno delle mie parole
sono quelle che rimangono inchiodate
all’orlo della tua gonna…
E io vorrei ascoltare la tua voce e sentire l’impronta delle tue mani
sulle mie
vorrei indossare ogni lettera del tuo nome
sul mio corpo
Abrielle, è curioso ma non riesco a dimenticarti. Anche se non ti conosco, mi sembra di conoscerti da sempre, mi sembra di ricordarti e distinguerti in questo vortice senza fine di volti, persone e corpi che si rincorrono senza trovarsi…
Ho provato a non pensarti, per la verità. Ho obbligato i mesi a offuscare il mio ricordo, ad attenuarlo e a nasconderlo, in modo che io non ti pensassi più e, se ti pensavo, che il ricordo fosse così lontano e nebuloso e fievole da poterlo abbandonare subito, come si abbandona una cosa sfumata, molto, molto lontana.
E adesso, improvvisamente, ecco che sei tornata.
Ti avevo tenuta nascosta, celata nella soffitta della mia mente, nell’angolo più buio e polveroso… eppure adesso sei riapparsa, fresca e splendente, scintillante d’estate, come se fosse stato soltanto ieri.
Abrielle
tutte queste cose che passano, che ci sfuggono per un’inezia e che perdiamo per l’eternità… Tutte le parole che avremmo dovuto dire, i gesti che avremmo dovuto fare, le opportunità che un giorno ci sono apparse e che non abbiamo saputo cogliere, e che sono sprofondate per sempre nel nulla…
Non rimaniamo senza la possibilità di fermarsi e poter soffermarsi sull’attimo fuggente.